Krishna e i papaveri bianchi

 

Nulla fu mai più allegro dell'infanzia di Krishna "lo Scuro". A capo di una banda di piccoli mandriani si aggirava lungo le sponde del fiume Yamuna che offriva le sue acque come ristoro nelle giornate più calde. Trascorrevano le ore tra tuffi e schiamazzi, scherzi e risate, poi si addormentavano tra i giunchi delle rive sabbiose. Si divertivano a rubare il pesce dai becchi degli alcioni o a sorprendere i pavoni nelle radure cercando di strappar loro qualche piuma, prima che questi nobili uccelli divenissero loro maestri nelle arti amorose.

Krishna adorava i dolci e il miele. Sapeva che il tesoro delle api era ben custodito e difficile da prendere. Conosceva la storia dei cacciatori di miele delle Montagne Blu, sua madre Yasoda la raccontava spesso di sera, quando la luna illumina le case e i volti dei bambini che non vogliono addormentarsi.

Dopo aver condotto le vacche al pascolo lungo il fiume, i ragazzi si dondolavano sui rami degli alberi per tuffarsi poi nelle acque poco profonde: era il loro massimo divertimento. Krishna, nascosto tra le fronde, come il grande uccello Garuda sull'albero Rauhina, rimuginava: bisognava andare al villaggio a rubare la crema di latte alle donne. Occorreva capire come fare ad entrare rapidamente nelle case, come riuscire a distrarre le donne che avevano sandali e mestoli pronti per essere lanciati e adoperati come bastoni.

Dritto in piedi sul ramo più alto chiamò a raccolta tutti: «Amici ascoltate... ho trovato la soluzione! Invierò i parrocchetti a cogliere i papaveri bianchi, in quantità giusta per preparare l'infuso in un grande calderone. Lo daremo da bere alle vacche di modo che il loro latte diventi un sonnifero utile a far addormentare tutto il villaggio. Potremo così agire indisturbati e prelevare dalle credenze tutta la crema, il miele e il burro dolce che vogliamo. Poi ci ritireremo nella foresta e faremo una gran festa mangiando a volontà!».

I monelli esultarono e scesero dagli alberi di corsa, come un branco di babbuini urlanti. Alcuni fuggirono via a raccogliere la legna per il falò, altri si recarono furtivamente al villaggio per trovare un vaso capiente in cui cuocere i papaveri bianchi, altri ancora corsero a intrecciare canestri in cui raccogliere il dolce bottino. Krishna "lo Scuro" si inoltrò nella foresta per incontrare il re dei parrocchetti; avrebbe offerto alla sua corte una parte della refurtiva e regalato al sovrano una borraccia di estratto di miele: il liquore Varuni.

Krishna decise di invitare anche le farfalle alla festa; avrebbero portato luce e colore alla giornata, volando delicatamente sui volti dei mandriani. Le farfalle felici decisero di ringraziare il fanciullo danzando e vollero donargli un sacchetto di polvere d'ali multicolore.

 

Nel giro di qualche giorno i parrocchetti avevano accatastato i papaveri bianchi al centro di una radura e anche i piccoli mandriani, alla spicciolata, tornavano con legna e cesti appena intrecciati. Dal fiume, adagiato su una zattera manovrata da cinque monelli, il calderone approdava nella foresta, prossimo a contenere i papaveri in ebollizione e l'infuso narcotizzante.

 

Krishna stava suonando il flauto in mezzo a mille farfalle danzanti che lasciavano cadere polvere colorata sui suoi capelli e su tutto il suo corpo. D'un tratto un parrocchetto messaggero gli si posò sulla spalla sussurrando che l'infuso era pronto e le vacche stavano già bevendo dal gran paiolo in mezzo alla radura. Krishna corse veloce verso i suoi amici nella foresta. Appena lo videro tutto cosparso di polvere colorata, i monelli cominciarono a ridere fragorosamente e a battere le mani. Anche Krishna rise con loro, poi li invitò ad aiutarlo a prendere il paiolo e correre verso il fiume Yamuna, cercando di non far traboccare il liquido. «Verseremo l'infuso nelle acque, in modo che tutte le vacche potranno bere e addormentarsi» esclamò Krishna. Lanciarono il calderone tra i flutti placidi e corsero via saltando e scherzando tra loro.

Il sonno del villaggio

 

I cani per le strade non si azzuffavano, non abbaiavano nemmeno più, tutto era fermo, tutto era silenzio intorno. Krishna capì che il prodigio dei papaveri bianchi era compiuto: i pesci, con le pinne ferme si erano posati sul fondale e lo stesso fiume era diventato un lento ed esteso fluire narcotico. Dormivano tutti.

I ragazzi si avvicinarono furtivi al villaggio e osservarono per un po'. Gli anziani russavano seduti davanti alle porte delle case o sdraiati a terra; gli uomini invece erano distesi sui carretti o appoggiati al tronco di qualche albero. Più in alto le scimmie, si erano appisolate una addosso all'altra o a pancia all'aria sui tetti delle capanne. Per le strade, le vacche accasciate a terra non muovevano nemmeno più la coda per scacciare le mosche che ferme, immobili sul manto bovino, non ronzavano e non infastidivano. Anche le gopi, le piccole mandriane, erano sparite, forse anche loro stavano sognando, dormienti, in qualche cortile o in riva al fiume. Soltanto le farfalle, i parrocchetti e i pavoni maestri d'amore, avvertiti del sortilegio, continuavano a volare e ad aggirarsi tra i rami e per i sentieri della foresta.

I monelli sgattaiolarono nelle case, dove le donne avevano chiuso gli occhi stese sulle stuoie o riverse sui tavoli. In tutta fretta presero la crema di latte, il burro e tutto il miele che riuscirono a trovare, cercando di non rompere nessun piatto e di non fare troppo disordine. Qualcuno rubò anche qualche dolce e qualche cucchiaio che poteva essere utile per distribuire la refurtiva. Scapparono via con i cesti pieni, cercando di non disturbare il sonno di tutti e di non infrangere quell'atmosfera così strana, sospesa, rarefatta. Krishna fu l'ultimo ad uscire dal villaggio, con il flauto serrato nella mano, ridendo e saltellando di gioia per la buona riuscita del piano.

 

All'improvviso Radha, la più bella delle gopi, gli si parò davanti severa e rigogliosa, splendente nella luce del sole, in mezzo alla strada deserta. Krishna impallidì, rigido di fronte alla bambina che lo osservava guardinga come una gatta. «Sei stato tu! Piccolo furfante, proprio tu hai escogitato questo sortilegio, tu e i tuoi amici ladruncoli, lesti come topi nel tempio di Ganesh! Come vedi io non sono cascata nel tuo tranello, io non dormo! Sono ben vigile! Sono stata più furba di te!».

Krishna non riusciva ancora a crederci, stringendo più forte il flauto cominciò a guardarsi attorno per cercare una agevole via di fuga che potesse fargli guadagnare rapidamente il folto della foresta. Infine, incalzato dallo sguardo della piccola gopi parlò: «Come l'hai saputo? Chi ti ha avvisato? Chi ti ha detto di non bere il latte? Sei l'unica sveglia... come hai fatto? Anche i gabbiani chiassosi dormono sulle barche in riva al fiume... dimmi chi è stato e in compenso ti porterò con me al banchetto in mezzo alla foresta, io stesso ti dedicherò la mia melodia più bella, suonerò per te le note più dolci».

«Non verrò io sola con te, ti inseguiremo tutte, le mie compagne sono ben nascoste dietro i cespugli ai margini del villaggio, aspettano soltanto il segnale. Saremo pronte a rincorrerti per tutta la giungla». Radha rise maliziosa e sollevò lo sguardo al cielo. In alto svolazzava la gracula, con le sue caruncole gialle, rapida planò sulla spalla destra della piccola gopi, pronta ad emettere il suo fischio acuto.

Krishna capì, quell'uccello parlante aveva visto e udito tutto, aveva intuito che il sonnifero avrebbe alterato il latte e addormentato il villaggio; rapidamente era fuggito via ad avvertire le mandriane. Assicurato il flauto alla cintola, Krishna estrasse dalla scarsella il sacchetto con la polvere d'ali di farfalla e affondata la mano soffiò sul volto di Radha quella sorta di talco colorato. Una nube densa e striata come l'arcobaleno ingoiò la bambina e, in un attimo, avvolse tutto il villaggio. Krishna si dileguò nella foresta, agile come una giovane tigre.

 

La danza nella foresta

 

Krishna trafelato volle raggiungere la banda di mandriani che si era accampata nella radura in mezzo alla boscaglia, come una tribù di nomadi del Rajasthan. Non sentiva strilli e risate, non udiva le voci dei compagni né i pappagalli chiassosi e non vedeva volare alcuna farfalla; insospettito si avvicinò di soppiatto allo spiazzo. Erano tutti distesi, dormivano, in mezzo al campo era acceso il fuoco; c'era chi si era sdraiato sotto ad un albero, chi invece aveva ricavato un giaciglio in mezzo ad un cespuglio. Alcuni erano saliti sugli alberi e si erano appisolati bocconi, abbracciati ad un grosso ramo o ancora supini con le gambe penzoloni. I parrocchetti con il becco sotto l'ala, riposavano appollaiati sulle teste dei ragazzi o fermi sulle loro pance gonfie. Le farfalle, adagiate sui fiori e le foglie tutt'attorno, avevano smesso di muovere le ali. Krishna stupito cominciò a far risuonare il suo flauto, in modo da ridestare dolcemente i compagni, gli uccelli e le farfalle. Il sonno dominava il suono, neanche quelle note meravigliose riuscirono a risvegliare la foresta che sembrava caduta in un profondo letargo.

 

Krishna "lo Scuro" si girò di scatto, staccando le labbra dallo strumento; aveva sentito rumore di rami spezzati... qualcuno si stava avvicinando. Ad una ad una le piccole gopi apparvero nella radura con gli occhi severi, lo guardavano, osservavano attentamente quella sagoma che vibrava al calore del fuoco, lì in mezzo allo spiazzo silenzioso, con il flauto in mano.

Radha avanzò, col volto contrariato e tinto di fuliggine colorata: «piccolo furfante! La tua polvere ha confuso la mia mente ma non ha accecato i miei occhi, come vedi siamo qua, io e le mie compagne siamo riuscite e ritrovarvi». Intanto era sopraggiunta anche la gracula chiacchierona, ancora una volta si era posata sulla spalla della fanciulla, a lisciarsi le piume multicolori.

Krishna sorrise e un raggio di sole giunse a illuminare l'avorio dei suoi denti brillanti come gemme sul volto bronzeo: «la tua gracula ha mutato piumaggio, questa polvere magica riuscirebbe a colorare persino la notte... e anche tu Radha, vedo che la tua pelle sta cambiando colore, stai arrossendo?».

La giovane gopi si sfregò il volto e una patina di polvere rossa macchiò il palmo della sua mano: «piccolo impertinente! Tu sai perché i tuoi amichetti dormono? Hai capito cosa è successo?»

«Dimmelo tu cosa è accaduto» rispose Krishna continuando a ridere e a roteare il flauto «anzi, che lo dica quella cornacchia che ti svolazza attorno!»

Radha osservò Krishna con stizza, poi cominciò: «sai perché è tutto fermo? Tutto il bosco è muto. Hai capito perché i pavoni sognano sotto ai cespugli assieme ai tuoi amici? Neanche le mosche ronzano più... hanno succhiato gocce di latte dalle bocche dei piccoli mandriani, a quanto pare»

«Avete sostituito il latte? Hai nascosto il burro?» Krishna si fece improvvisamente serio.

«Certo! Mai avremmo lasciato la crema di yogurt nelle vostre mani. Avete mangiato il burro sbagliato... anzi, a quanto vedo, hanno mangiato... tu sei stato risparmiato!» replicò Radha e rise fragorosamente, con lei tutte le gopi che nel frattempo si erano sedute nella radura ad ascoltare quel dialogo che pareva sempre più una tenzone d'amore.

«Ti abbiamo rovinato la festa!». Ridevano tutte.

A queste parole fu il volto di Krishna ad arrossire, aveva compreso lo stratagemma: la gente del villaggio si era assopita realmente sotto l'effetto dell'infuso. Le gopi però avevano fatto in tempo a sostituire la crema di latte e il burro buono, lasciando nelle dispense yogurt e burro fresco di zangolatura, quello a base di papavero bianco, ottenuto dall'ultima mungitura.

«Sei stata furba... hai anticipato le mie mosse... come vedi sono rimasto solo, sono l'unico sveglio, assieme a voi, in mezzo al bosco... sono vostro prigioniero, a quanto pare».

«Si, sei nostro prigioniero!» replicarono le bambine in coro.

«A voi tutte e a te Radha, principessa delle gopi, ditemi cosa posso fare per voi, ditemi cosa devo fare io, Krishna, preso in ostaggio, per riscattarmi e ritornare libero!»

«È presto detto» rispose Radha «dovrai farci danzare fino a quando i tuoi amici non si sveglieranno, dovrai far risuonare di dolcissime note il tuo flauto... noi ti delizieremo con movenze e canti ma tu dovrai custodire gelosamente ciò che sta per accadere in mezzo a questa foresta. Dovrai tenere soltanto per te ciò che vedrai e udrai. Sarai in grado di mantenere il segreto?»

«Prometto di mantenere il segreto, di non rivelare a nessuno ciò che vedrò e che ascolterò, prometto di custodire nella mia memoria i vostri balli e il vostro canto» solennemente Krishna appoggiò il flauto sul petto in segno di giuramento, poi corse verso un albero vicino, si arrampicò velocemente mettendosi a sedere su un ramo, avvicinò il flauto alle labbra scarlatte e cominciò a suonare.

 

Un'armonia soave, gioiosa e suadente, avvolse il bosco addormentato. Le gopi presero a danzare una dopo l'altra con movimenti fluidi e sinuosi, liberando le voci cristalline e le vesti leggere al vento fresco che diffondeva dolci note tra le chiome degli alberi e fino alla corrente del fiume. Mimavano le danze eleganti delle paradisee, delle gru e di certi uccelli che abitavano le isole lontane o anche le volute dei grandi rettili e l'incedere lento dei felini. A passi di danza morbidi e fluidi si alternavano movenze ritmate e vorticose. Gli ornamenti brillavano nella luce verde del bosco e braccia, mani, gambe, caviglie, risate, sguardi disegnavano nell'aria gesti d'incanto, figurazioni fiabesche.

Allora Krishna dall'alto, tirando fuori la mano dalla scarsella, cosparse di polvere colorata le chiome intrecciate delle piccole danzatrici. Nugoli di rosso acceso, soffi di paglierino e oro, sbuffi di blu oltremarino, azzurro, indaco, promanarono come vapori sulfurei e poi arancio, verde pallido e profondo, violetto... tinte ora timide e silenziose ora vivaci e quasi arroganti si addensavano nell'aria in un turbinìo di luci variopinte, quasi un vortice di passioni. Pigmenti simili alle piume smeraldine dei barbetti e dei gruccioni, all'ocra delle gazze vagabonde e delle nettarinie, al giallo dei rigogoli dalla testa nera. Le gopi avevano sottratto canti e colori agli uccelli della giungla.

Le melodie delle voci e il divino suono del flauto svegliarono dapprima le farfalle che subito iniziarono a danzare con le bambine. Krishna guardava ammaliato e intanto soffiava nel cavo strumento, cosparso anch'esso di colore. I parrocchetti, appena svegli, stupefatti, si librarono in volo simultaneamente, tra le bimbe e le farfalle delicate.

Per ultimi si destarono i ragazzi, stropicciandosi gli occhi ma... le gopi non c'erano già più, sparite, interrotte le danze erano fuggite via dalla radura magica come cerbiatte, abbandonando in fretta quella straordinaria festa dei colori. Krishna sorrise, staccando il flauto dalla bocca e quella sua espressione era il sorriso del mondo.

  • Fotografie: Martina Sampieri, Holi Festival, la Festa dei Colori (Uttar Pradesh, India, 2017) 
  • Illustrazioni: Krishna bambino; Krishna e le gopi sulle rive del fiume Yamuna
  • Parole: Tuco Buttali, 2021